
Non so bene perché stia scrivendo, ma forse è l’unico modo che ho per dare ordine a quello che sento.
Da qualche giorno porto dentro una parola nuova, pesante, che non riesco nemmeno a pronunciare ad alta voce: Patologie, alcune che non guariscono, possono stabilizzarsi o peggiorare e mi accompagneranno tutta la vita. Una presenza silenziosa che mi ricorda che niente sarà più come prima.
Oggi ho deciso di andare nuovamente al mare. Era sera, il sole stava già scendendo. Ho pensato che forse lì, davanti a qualcosa di immensamente più grande di me, la paura sarebbe diventata più piccola. Non so se sia andata davvero così, ma il mare ha fatto quello che sa fare: ha respirato al posto mio.
Le onde arrivavano e tornavano indietro, come se non avessero mai fine. Le guardavo e pensavo: anch’io sono così, pieno di urti, di ritorni, di cicatrici che non si vedono. Il mare non si ferma se trova una roccia, si infrange e poi riprende il suo corso. Forse dovrei imparare anch’io.
Mi sono fermato davanti a una pozza d’acqua rimasta intrappolata tra la sabbia. Dentro si specchiava il cielo che si accendeva di rosso. Ho pensato al mio corpo: non più l’oceano vasto che immaginavo, ma uno specchio piccolo, limitato. Eppure, anche dentro quei confini stretti, c’era bellezza. Anche lì il cielo riusciva a riflettersi. Ho provato una tenerezza strana verso me stesso, come non mi era mai capitato.
Poi è arrivata la notte. La luna, enorme, ha lasciato cadere la sua luce argentea sul mare. Era fragile, spezzata dalle onde, ma continuava a brillare. Mi ci sono perso. Ho capito che non serve essere interi per riflettere la luce: anche frammentati, anche segnati, si può continuare a vivere.
Le parole “Dovrai cambiare abitudini”, mi rimbombavano nella testa continuamente e annuivo, ma dentro ero pieno di ribellione. Cambiare, sì. Ma come? Poi, davanti al mare, ho realizzato che sto già cambiando. Non perché lo voglio, ma perché non posso fare altrimenti. E forse, in questo cambiamento forzato, c’è anche la possibilità di scoprire cose nuove.
Non è facile. La paura è qui, la sento in ogni respiro. Non so come sarà il domani, e questo mi pesa. Ma ho imparato che le cose piccole — un tramonto, il rumore delle onde, il calore di una mano — diventano immense quando il resto ti vacilla sotto i piedi. E forse è questa la lezione che non avrei mai voluto, ma che adesso non posso ignorare.
Prima di essere ricoverato la prima volta, un attimo prima ero ancora io — distratto, invincibile, convinto che il corpo mi appartenesse come una macchina fedele che non tradisce mai.
Un attimo dopo, ero qualcuno di diverso: una persona che portava addosso un nome nuovo e poteva essere chiamato in diversi modi, quello di alcune patologie.
Ho iniziato a guardare il mio corpo e la mia vita con occhi diversi. Ogni gesto quotidiano ridere senza pensieri, vivere la normalità, non mi appare più scontato.
Ho scoperto anche una paura nuova: non tanto della malattia in sé, quanto di dover imparare a riconoscermi in una versione diversa di me stesso, ma tuttora non riesco a ritrovarmi nello specchio, mi vedo cambiato: più fragile
Allo stesso tempo, però, questa fragilità mi sta insegnando qualcosa. Ho capito che non è una vergogna, ma una crepa che lascia entrare luce: il valore dei piccoli momenti, la forza di chiedere aiuto quando da solo non riesco a realizzare la situazione e forse anche il non riuscire ad accettarla e darmi invece la possibilità di accettarmi senza arrendermi.
Non dimenticherò mai quel giorno in cui feci la prima visita di controllo.
Il medico parlava, e io ascoltavo senza ascoltare davvero. Le parole si susseguivano come pietre gettate in uno stagno: “patologia… cronica… cambiamenti radicali… cure da seguire…”. Mi sembrava impossibile che stesse parlando di me. Io ero lì, seduto, apparentemente intero. Eppure, da quell’istante, tutto era diverso.
Appena uscito dallo studio ho respirato a fondo. L’aria era la stessa di sempre, ma mi sembrava più pesante, quasi ostile. Camminavo tra la gente e avevo la sensazione che il mondo scorresse come sempre, mentre dentro di me qualcosa si era incrinato. Nessuno lo vedeva, nessuno poteva saperlo, ma io sentivo che non ero più la stessa persona che era entrata in quell’ambulatorio un’ora prima.
All’improvviso il corpo diventa una casa con pareti crepate, che scricchiola al vento e ti ricorda che non puoi ignorarla.
Ma il cambiamento più grande non è stato nel fisico. È stato dentro. Ho cominciato a guardare le cose con altri occhi. I silenzi hanno assunto un peso diverso, gli sguardi delle persone che amo sono diventati più preziosi, le piccole cose quotidiane, un cappuccino caldo al mattino, il profumo della pioggia, il tramonto che si scioglie nel mare hanno preso un valore che prima non conoscevo.
E poi c’è stata la paura. Una paura sottile, che non sempre urla ma che rimane accovacciata dentro, pronta a ricordarmi che nulla è più certo. A volte mi ha paralizzato, a volte mi ha fatto piangere senza motivo, altre volte mi ha fatto stringere più forte a chi avevo vicino. Non è la paura della morte, ma quella di non essere più “io”, di dovermi riconoscere in un volto nuovo, segnato da una fragilità che non riesco ad ammettere.
È il modo in cui la vita ti costringe a rallentare, a guardarti dentro, a scoprire che non sei invincibile e che va bene così. Ho capito che chiedere aiuto non è segno di debolezza, ma di coraggio. Ho capito che accettarsi non significa arrendersi, ma imparare a vivere con ciò che non si può cambiare.
La malattia mi ha tolto qualcosa, sì. Ma mi ha anche regalato uno sguardo nuovo.
E adesso, quando mi guardo allo specchio, non vedo più solo le cicatrici invisibili che porto dentro: vedo una persona diversa, più fragile, ma forse anche più autentica.
Stasera torno a casa con un pensiero che mi consola: non sono più lo stesso di prima, è vero. Ma non per questo sono meno vivo. Forse lo sono di più.
Se posso, ti consiglierei di leggere il blog di alemarcotti; lei vive la sua malattia con una forza unica. Magari potrà ispirati e darti conforto.
Ti ringrazio per il pensiero 🫶
Ciao Inazuma 🍀
Non devi pensare che le patologie possano spezzare la vita come un ramoscello.Ogni patologia ha un inizio e poi perdura nel tempo ,cronicizza e gli inizi sono difficili e vedi tutto nero , intorno a te,
diverso, poi cominci ad abituarti e so che non è facile, occorre resilienza e pensare che non sei solo .
Hai fatto una bella descrizione del mare così esteso e mosso .Certo non bisogna adagiarsi, occorre pazienza e farsi coraggio. Tutti vorremmo star bene ,a dirlo è facile ,ma ogni patologia ha il suo manifestarsi e il suo malessere.Ricorda che non sarai mai solo … Ciao fratellino !
Ti voglio bene !🤍👍🏻🫶🏻
Ma ti dirò, il problema è quando hai certi stati d’animo, riesco a sentirmi solo anche in compagnia. È proprio l’esternazione verso gli altri che diventa pressoché nulla, chiaramente dipende dalla compagnia.
E il mare invece aiuta con la sua immensità a capire, l’importante è saperlo ascoltare.
Assolutamente sì !
Il mare se si ama dà anche conforto, ma la vera serenità la trovi dentro di te,la devi trovare perché ci si deve rafforzare anche mentalmente…Non devi pensare al peggio poi ci si abitua a conviverci.
Non penso al peggio, non avrebbe senso piuttosto sarebbe più sensato alleggerire il pensiero, facile a dirsi ma un tentativo devo comunque farlo.
La vita è una lotta e anche una guerra… Quindi bisogna armarsi di pazienza e lottare tutti i giorni… Buonanotte !!!😴💤💤💤
Concordo
Quando si tratta della salute non è che ti senti solo, solo lo sei veramente e nessuno può dare una mano, quando cerchi una mano potrai aggrapparti solo alla tua.Quindi la cosa migliore è farsi coraggio e non cedere e questo te l’ho ripetuto sempre da quando ti conosco,ci si cura e si va avanti. Buonanotte💤💤💤😴👍🏻🙏🏻